Il Venezuela non è un pranzo di gala
Pubblicato il 2 mag 2017 su
Marco Consolo (Dip. Esteri PRC)
Lo
scrittore uruguayano, Eduardo Galeano, lo chiamava il mondo al rovescio.
E di questo si tratta. La rappresentazione mediatica del Venezuela
bolivariano è un manuale della guerra asimmetrica e di terrorismo,
armato e psicologico. La narrativa internazionale dominante parla di una
feroce dittatura, di un governo che imbavaglia i media, che reprime a
destra e a manca e provoca morti, che affama la popolazione ed è
responsabile della scarsezza dei beni di prima necessità e medicinali,
che opprime e di cui bisogna liberarsi al più presto.
È il mondo al rovescio, appunto.
Gli
asini volano, gli uccelli sparano ai fucili, e le renne prendono le
redini della slitta con Babbo Natale per il prossimo tour. In Venezuela,
i padroni e la ristretta cerchia degli importatori senza scrupoli
imboscano i prodotti e fanno mercato nero, ma la colpa è del governo
affamatore. I “manifestanti pacifici” (ben armati ed addestrati dai
paramilitari colombiani) uccidono un poliziotto o qualche civile,
bruciano asili-nido, fanno sabotaggio, ma si tratta di un atto di
“legittima difesa”. I veri golpisti (del 2002 e non solo) accusano di
dittatore il legittimo Presidente costituzionale Maduro. Sono gli stessi
che, con i primi decreti del golpe, avevano abolito la costituzione.
Oggi se ne fanno scudo, senza averla né aperta, né capita davvero, un
po’ come con la bibbia di cui si dicono ardenti seguaci.
Gli assassini sono mascherati e rappresentati mediaticamente come colombe. I “good boys” sono fedeli all’insegnamento di Goebbels, il ministro della propaganda hitleriana: “La
propaganda è un’arte, non importa se questa racconti la verità….
Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una
verità”.
Fake
news, le post-verità. Travestita da giornalismo indipendente ed
obiettivo, l’industria del falso è al servizio della guerra. Il tam-tam
virtuale della propaganda di guerra galoppa negli algoritmi dei
latifondi mediatici, soffia sul fuoco di una lotta di classe che si
acutizza, ed è materia incandescente.
L’ultimo braccio di ferro
L’ultimo
braccio di ferro tra i contendenti, c’è stato lo scorso 19 e 20 aprile
ed entrambi hanno raggiunto i loro obiettivi minimi.
Il
“chavismo” ha dato una nuova e potente dimostrazione della sua capacità
di mobilitare ed organizzare, nonostante i mille problemi quotidiani che
affronta la sua base sociale.
Gli
avvoltoi della destra hanno cercato (e trovato) i morti a tutti i costi
(da fare o da farsi fare con cecchini compiacenti, come nel golpe del
2002): servono per dare una immagine di un Paese sull’orlo del baratro,
dell’ingovernabilità, del caos, e a farla coincidere con quella che gli spin doctors
dei mass-media stanno disegnando dall’estero, con l’idea di riscaldare
l’ambiente per l’ingerenza esterna, già pienamente operativa.
Nei
due giorni di mobilitazione, nonostante gli sforzi, l’opposizione non è
riuscita a dare la “spallata finale”. Il golpismo ha bisogno di una
ulteriore escalation su vari fronti.
Sul
fronte di massa, deve mantenere un’attività di piazza abbastanza forte e
prolungata da presentare al mondo un quadro “ucraino”, ma ancora non ci
siamo.
L’opposizione
rischia un errore che può costarle caro. A differenza del gennaio 2002,
quando iniziarono ad accumulare forze per dare il golpe dell’11 aprile
(con l’appoggio statunitense e di diversi governi europei),
oggi sono ben lontani dal riuscire a mobilitare i numeri su cui
contavano nei mesi di preparazione del golpe di aprile. Perché ?
L’opposizione ha un grave problema, che non aveva nel 2002: è divisa al
suo interno, senza unità di criteri tattici e senza il controllo di
massa del passato. La destra “criolla” venezuelana (obbligata a stare insieme) è litigiosa per natura e questo gli impedisce di avanzare con una strategia solida.
Allo stesso tempo, la presenza di settori violenti e fascisti all’interno della Mesa de Unidad Democratica
(MUD), e che spesso ne dettano l’agenda, non favorisce certo
l’accumulazione di una massa critica sufficiente a mettere in scacco il
governo. Viceversa, questi settori si stanno logorando in una tattica “foquista”,
che disperde le forze e non può prolungarsi all’infinito, anche se i
dollari non mancano e si può reclutare la criminalità organizzata, come
già sta avvenendo.
Insieme
alla mobilitazione di piazza, la destra cerca di dividere le Forze
Armate, incitandole a ribellarsi, senza che fino ad ora si vedano
risultati, neanche parziali. Ma la cospirazione continua e sperano di
poter comprare qualche alto ufficiale, come nel passato.
In
questa fase, la destra ripete l’appello agli Stati Uniti a intervenire
militarmente (cosa che in Italia, negli Stati Uniti o in qualsiasi paese
occidentale sarebbe punito minimo con il carcere, per complicità con
una potenza straniera e tradimento alla Patria) e sembra dipendere da
decisioni esterne. Ma la probabilità immediata di un intervento militare
esterno non è chiara, anche perché l’imperialismo sa che in Venezuela
incontrerebbe una dura resistenza. Donald Trump, moderno dott.
Stranamore, non crede nel “soft power”
di Obama ed ha già attizzato il fuoco con i bombardamenti in Siria e
Afghanistan. Ma in Venezuela non si tratta solo di lanciare una batteria
di missili o una superbomba a migliaia di chilometri di distanza.
La dissuasione chavista
La
scommessa sul dialogo politico tra il governo e la MUD, con l’appoggio
di Papa Francesco e di alcuni ex-presidenti non è ancora persa del
tutto, anche se la pace sembra ancora lontana.
Ma con
questi venti di guerra, il messaggio dissuasivo che il “chavismo” invia
alle piazze e al mondo, è il suo rafforzamento militare e
l’organizzazione della Milizia popolare (il governo parla di 500.000
miliziani).
La Ministra degli Esteri colombiana, María Ángela Holguín,
ne ha parlato “preoccupata” con il Segretario Generale dell’ ONU e la
Corte Internazionale dei Diritti Umani si è espressa nella stessa
direzione. Ma non c’è da meravigliarsi per gli attacchi contro la
Milizia, che vengono sia da dentro, che da fuori del Paese. Non c’è cosa
che preoccupi di più lor signori e gli oligarchi, di un popolo ribelle ed in armi.
Oltre
alla mobilitazione della Milizia, la prova di forza della piazza si
somma ai fattori di dissuasione del processo bolivariano, nei confronti
di minacce esterne di intervento. Il ““chavismo”” può contare sulla gran
parte delle Forze Armate, nonché su di una forza miliziana con il
morale alto, disposta a combattere e che potrebbe crescere in un momento
critico. Come spesso ricordava il Comandante Chavez, è una importante
differenza col Cile di Allende del 1973. Per il resto, il Venezuela di
oggi è la fotocopia modernizzata di quella spirale che portò al golpe
cileno.
Il
“chavismo” non ha altra alternativa che mantenere presenza nelle piazze e
disputarle alla destra. Ma non c’è dubbio che, tra i talloni d’Achille,
vi sono la situazione economica e la mancata diversificazione
dell’economia, che pesano come un macigno sul processo bolivariano.
Inutile nascondersi dietro un dito.
La destra in un vicolo cieco
La destra,
da parte sua, punta sull’ingovernabilità mentre continua a costruire lo
scenario internazionale, tappeto su cui far marciare le truppe di
intervento in un ipotetico futuro. Siano esse armate, uni-laterali,
multi-laterali, mercenarie, paramilitari, diplomatiche o qualsiasi tra
le diverse opzioni che l’imperialismo ed i suoi alleati hanno utilizzato
nella storia. La Casabianca non scarta nessuna possibilità, dopo aver
dichiarato il Venezuela “una minaccia inusuale e straordinaria alla sua
sicurezza”.
Sul
fronte diplomatico, l’Organizzazione degli Stati Americani (OEA) ha
rinverdito i suoi fasti golpisti da “ministero delle colonie” di
Washington, grazie al suo Segretario Generale, l’uruguaiano Luis
Almagro. Non perde occasione per alzare l’asticella della provocazione,
anche con veri e propri golpe all’interno dell’OEA, che ne evidenziano
la pratica e la volontà golpista. Colpito da una preoccupante sindrome
ossessiva contro il Venezuela, Almagro è la cerniera tra i voleri di
Washington ed i governi della destra continentale.
Solo
negli ultimi giorni ci sono stati prese di posizione “contro la
repressione” del Perù e del Costa Rica, ed una nuova dichiarazione di
“preoccupazione” del Dipartimento di Stato. Dal canto loro, i cosiddetti
governi di centro-sinistra (Cile ed Uruguay, ma anche quello italiano)
seguono le stesse direttive dell’impero, alleandosi con la destra
cavernicola e sperando in futuri dividendi politici.
Qualche giorno fa, da Bogotá, El Tiempo (della famiglia del Presidente Santos) si è occupato di Venezuela in un suo velenoso editoriale: “È
da tempo che le linee rosse hanno iniziato ad incrociarsi
pericolosamente in Venezuela. Ma quello che è accaduto questo 19 aprile,
quando Nicolás Maduro ha represso ancora una volta brutalmente le
proteste contro il suo governo di migliaia di persone a Caracas ed altre
città del Paese, e ha liberato i suoi gruppi paramilitari conosciuti
come i ‘colectivos’, per fare attaccare e intimidire la popolazione
inerme, passerà alla storia come il giorno in cui il governo ha perso il
senno, per porsi in un punto di non ritorno. La dittatura è caduta
addosso ai Venezuelani”.
Il
mondo al rovescio, appunto, con la destra reazionaria colombiana che
pretende di dare lezioni di rispetto dei diritti umani. Un Paese dove si
è consumata (e si consuma) una guerra civile da più di mezzo secolo,
dove la repressione ed i troppi massacri hanno costretto l’opposizione a
prendere le armi e trasformarsi in guerriglia per non farsi
semplicemente sterminare. Dove la violenza è stata storicamente lo
strumento per l’accumulazione originaria e la guerra ha prodotto più di 6
milioni di sfollati. Dove, secondo la Defensoria del pueblo,
negli ultimi 14 mesi sono stati assassinati 120 difensori dei diritti
umani, e ci sono stati 33 attentati contro dirigenti sociali. Dove
traballa il processo di pace con le FARC, visto che il governo non
rispetta gli accordi di pace. Da dove solo nel 2017, sono scappati circa
30.000 colombiani verso la “dittatura” del Venezuela, che si aggiungono
ai 5,6 milioni già nel Paese.
Sul versante dell’impero, l’attacco è affidato al New York Times: “Nei
giorni scorsi, il Presidente del Venezuela Nicolás Maduro ha ordinato
di disperdere le moltitudini di manifestanti che protestano nel suo
paese, con una pioggia di proiettili di gomma e gas lacrimogeni che gli
agenti delle forze di sicurezza tiravano dagli elicotteri. Il governo ha
anche utilizzato miliziani vestiti da civili per disanimare i
manifestanti con l’obiettivo di farli desistere dal protestare nelle
strade”. L’immaginazione al/del potere.
L’editoriale del NYT mette a nudo (e sotto tutela) le divisioni della destra: “…
il governo di Maduro ha avuto un successo considerevole in altri
momenti di agitazione… Ma questa volta, potrebbe essere diverso, se i
gruppi oppositori si mettono d’accordo su una lista di obiettivi
concreti e stabiliscono una strategia chiara per affrontare i problemi
del Paese con l’aiuto della comunità internazionale”.
Il NYT conosce bene i suoi polli, o meglio i suoi “troppi galli nel
pollaio”. Sono litigiosi, non si mettono d’accordo, e sono tutti a
carico del contribuente statunitense, senza risultati alla vista. È il
problema principale e storico dell’opposizione e per risolverlo non sono
serviti né i dollari, né i consigli degli abbondanti “consiglieri” di
Washington.
Fa capolino ancora il fantasma della violenza e su questo cammino non c’è più ritorno. La destra è in un vicolo cieco: non
gli interessa né il referendum revocatorio, né convocare elezioni, né
tantomeno sanare l’illegalità dell’attuale Parlamento (con deputati
dell’opposizione eletti grazie ai brogli). Il suo obiettivo è creare un
conflitto che la porti alla presa del potere, al di fuori della
costituzione e delle attuali leggi. Perché in uno Stato di diritto non
può privatizzare PdVSA, l’impresa petrolifera di Stato, non può
cancellare i contratti che creano imprese miste con la Russia, la Cina,
l’Iran, Cuba, etc., né tornare ai “bei tempi”, in cui le multinazionali
statunitensi pagavano la ridicola cifra dell’1% in royalties
petrolifere.
Per
far questo, nel 2002, il decreto golpista del Presidente della
Confindustria locale, Pedro Carmona (ribattezzato popolarmente “Pedro il
breve”, per la durata di poche ore del golpe) puntava proprio a quello:
abolire la Costituzione e tutti i poteri istituzionali. Gli attuali
dirigenti della destra vendepatria
cercano di assaltare la diligenza, per poi ricevere le cospicue
tangenti che le multinazionali del petrolio sono disposte a pagare per
controllare PdVSA e la Fascia Petrolifera dell’Orinoco (con le più
grandi riserve mondiali provate), e infine godersi la pensione in
qualche Paese del “primo mondo”. Meglio se a Miami, dove sono di casa.
Fino a dove potranno arrivare senza ottenere rapidamente i risultati sperati ? Per
ottenere questo, bisogna sbarazzarsi della Costituzione, delle leggi,
del governo, del Tribunale Supremo di Giustizia, della Procura della
Repubblica, etc. Al momento, l’unica maniera di riuscirci è attraverso
un governo fantoccio nominato dopo una invasione.
Con visione profetica, el libertadorSimón Bolívar sosteneva già nell’agosto del 18291 che “…gli Stati Uniti sembrano destinati dalla Provvidenza a piagare l’America di miseria in nome della libertà”.
1 http://www.archivodellibertador.gob.ve/escritos/buscador/spip.php?article3309
DOCUMENTO
2083, DE UNA COPIA DE LETRA DE URDANETA, O.C.B., CARTA DEL LIBERTADOR
SIMÓN BOLÍVAR AL CORONEL PATRICIO CAMPBELL, FECHADA EN GUAYAQUIL, 5 DE
AGOSTO DE 1829, DÁNDOLE GRACIAS POR SUS BUENOS SENTIMIENTOS Y LE ANUNCIA
SU RENUNCIA AL MANDO SUPREMO EN EL PRÓXIMO CONGRESO CONSTITUYENTE.