Dal compagno Dino Greco tramite la mailing-list dell'altra Europa con Tsipras riceviamo e pubblichiamo questo suo articolo sulla situazione greca
Sul
fronte greco si combatte una battaglia decisiva:
per
tutti
(Dino
Greco)
Lo
sappiamo bene, e sarebbe prova di igiene mentale non scordarlo: l’Ue
(cioè il gotha
del capitalismo continentale e non una istituzione a reggimento
democratico) stringe il cappio sul popolo greco e sul suo legittimo
governo per spezzare sul nascere qualsiasi velleità trasformatrice
del paradigma economico-sociale imposto all’Europa.
Lo
fa per la semplice ragione che un accordo che revochi il carattere
pseudo-scientifico del dogma monetarista non è tollerabile senza
negare i fondamenti, l’assetto di classe e la riproduzione
dell’oligarchia dominante.
Farlo
significherebbe mettere il primo mattone di una pietra tombale
sull'architettura fondata a Maastricht nel 1992 e consolidatasi
nell'arco di un ventennio attraverso un’impressionante sequenza
di trattati iper-liberisti.
Ora
siamo prossimi al redde
rationem perché la
partita asimmetrica fra Syriza e la troyka è giunta al punto di non
ritorno in cui il pareggio non è possibile.
Si
osserva che fra le proposte di Syriza e le pretese della troika non
vi sarebbe una distanza incolmabile – guardando i numeri veri
– e che l’obiettivo degli oligarchi di Bruxelles è soltanto
politico.
Ma
non è l’intero telaio dei patti europei teso a perseguire un
obiettivo politico, cioè a rifondare i rapporti sociali disegnati
dalle costituzioni antifasciste?
E
l’orizzonte in cui esso si muove non è forse quello della
distruzione del welfare, dell’affermazione di un modo
dell’accumulazione capitalistica fondato sulla privatizzazione
integrale dei servizi sociali e della cosa pubblica,
sull'appropriazione privata di tutto ciò che può assumere i
caratteri della merce ed un valore di scambio sui mercati,
sull'annientamento del diritto del lavoro e dello stesso potere di
coalizione dei lavoratori?
Non
sono questi gli obiettivi “non negoziabili” che il capitale nella
sua inaudita concentrazione finanziaria persegue e difende ad
oltranza?
Allora
converrà persuadersi– una volta per tutte – che la distanza fra
le posizioni in campo non è lieve, bensì abissale.
Se
la troika cede oggi sul tema cruciale della ristrutturazione del
debito, se essa subisce un’impostazione di politica economica che
fa della spesa pubblica sociale il tema a cui subordinare tutto il
resto, se – in definitiva – vince la richiesta di privilegiare le
condizioni essenziali di vita del popolo greco e si inverte l’ordine
di priorità imposto dalle tavole di Mosè dei vincoli di bilancio, è
l’intero edificio europeo che comincia a scricchiolare. Perché
domani il tema si riproporrà – fatalmente – nella Grecia stessa
e in altri paesi: aperta una fenditura nella diga, la frana diventa
solo questione di tempo.
Per
questo Merkel, Hollande e l’asse Popolari-Socialisti asservito al
potere finanziario dominante non possono cedere senza mettere in
discussione se stessi.
E’
però aperto, e sin dall'inizio, un problema.
Syriza
ha avviato la trattativa con la troyka
tenendo fermi due termini ben difficilmente conciliabili: la fine
dell'austerità e la permanenza (dichiarata senza alternative)
nell'area euro.
Ora,
l’avere dichiarato per l’oggi e per il domani la propria
internità al perimetro economico tracciato dai trattati europei ha
cacciato il negoziato in un cul-de-sac.
Come
sa ogni sindacalista, se sei obbligato all'accordo con la tua
controparte, se questa sa, per tua stessa ammissione, che tu non
possiedi (o non hai costruito) una via di fuga, essa ti tiene per il
collo e ti costringerà o alla resa oppure ad una rottura al buio.
Questo
credo sia il limite vero di tutta la vicenda, al netto della più
grande e appassionata condivisione che ci lega alla drammatica
battaglia che in queste ora si svolge in terra di Grecia.
Se
Syriza – come ognuno si augura – non si arrenderà alla protervia
del neo-sciovinismo tedesco, essa sarà obbligata a verificare, a
distanza di pochi mesi dal proprio insediamento al potere, le
speranze che le ha affidato il popolo greco e a ricorrere a nuove
elezioni nella speranza che queste confermino, in un quadro denso di
pericoli, la determinazione a combattere della sua gente.
Ma
un conto è andare ad una consultazione elettorale brandendo soltanto
la bandiera delle proprie giuste ragioni e della dignità offesa ed
un altro è avere e mettere in gioco una proposta che renda credibile
un’alternativa di fronte al default e al prevedibile assalto delle
forze reazionarie e fasciste, interne ed esterne al Paese.
Bisognava,
probabilmente, averlo fatto prima, e questo avrebbe giovato al
negoziato stesso, ma certo occorrerà non perdere un minuto di tempo
se nei prossimi giorni la rottura diventerà un fatto compiuto.
Se
fossimo in guerra servirebbe organizzare le brigate internazionali,
considerato che in discussione sono, né più né meno, i valori, i
principi, i rapporti sociali, l’assetto democratico conquistati con
la Resistenza e scritti in modo irrevocabile nella Costituzione
repubblicana.
Nel
conflitto (non meno cruento) che è in corso oggi servirebbe una
mobilitazione di massa in ogni paese d’Europa a sostegno del popolo
greco non meno che del futuro di tutti noi: perché questa è la
posta in gioco che ancora troppi faticano a vedere.